Continuando una serie dei saggi storici su Odessa, dedicati agli eventi della Prima Guerra Mondiale, con questo materiale vogliamo attirare l'attenzione dei lettori alla tragedia, accaduta nella costa del Mar Nero. Questi eventi sono stati scrupulosamente studiati dal Dottore in Scienze Storiche I.V.Sapozhnikov, ed hanno uno stretto rapporto sia con il periodo della guerra stessa di 1914-1918, che con le pagine austro-ungariche della storia di vita di Odessa, di cui abbiamo parlato nei nostri precedenti articoli..***
Uguale alla storia del soggiorno delle truppe austro-ungariche al comando di Edvard Edlera von Boltz in Odessa, presenziata nel libro “Vitello d'oro” dei Ilf e Petrov , la storia del cacciatorpediniere “Carlo Alberto Racchia” della Flotta di Marina Militare Reale Italiana ha trovato il suo posto nella prosa d'arte - storia del K.G. Paustovskij "Blocco":
“... In Odessa di quei tempi le truppe sovietiche erano poche. Nel frattempo, la squadra navale alleata già incrociava al largo della costa di Odessa, mandando prima il cacciatorpediniere italiano “Racchia” per effettuare la ricognizione. E poi è capitata una cosa, che ha drammaticamente cambiato l'intera situazione. Il cacciatorpediniere “Racchia” si e` imbattuto contro una mina sulla traversa del Faro di Grande Fontana. Appartemente è stato sentito solo un leggero rombo, venuto in città dal lato del mare. Ma non ha disturbato nessuno. Secondo ordine del Comitato Provinciale di Odessa, i pescatori della Costa d'Oro, della Grande Fontana, della dacia di Kowalewski e del Lustdorf - le persone di esperienza e grande calma – sono andati subito con le loro chiatte al luogo dell'esplosione, hanno raccolto l’italiani sopravvissuti, hanno tolto gli uccisi dal torpediniere e li hanno portati alla riva, prima che erano venuti per l’aiuto i navi della squadra. I corpi degli italiani morti hanno portato in Odessa. Il comandante della squadra navale ha ricevuto una radiogramma. Si diceva che la città, rattristata da questa disgrazia, assume al proprio conto i funebri dei valorosi marinai italiani ed invita il comandante della squadra navale di arrivare alla cerimonia solenne e gentilmente chiede di inviare le truppe dei marinari per rendere gli estremi onori ai marinai perduti. L'ammiraglio ha detto di sì - più che non aveva nient’altro da dire. E al mattino, dal Porto al campo Kulikovo vicino alla stazione ferroviaria, dove è stata preparata una fossa comune, si sono allineati le formazioni dell'Armata Rossa e un distaccamento dei nostri marinai, senza armi. Tutte le case erano decorate con le bandiere abbrunate. Il percorso del corteo funebre era cosparso di fiori e rami di tuia. Centomila abitanti di Odessa hanno partecipato in questo funerale, a quei tempi - quasi tutta la popolazione di città. Gli operatori portuali portavano i feretri a braccia. Dietro di loro marciavano abbronzati marinai italiani, con fucili, abbassati a terra. Suonava la musica dei orchestri dei navi stranieri e l’Orchestra mista di Odessa. Egli non hanno perso la faccia, e suoni strazianti di marcia funebre di Chopin hanno fatto piangere le sensibile donne di Odessa, chi asciugavano gli occhi con punti di scialli. Nella chiesa del Monastero di Nuovo Athos le campane si suonavano nel modo funebro e triste. Tetti delle case erano nere della gente. Sulla tomba gli oratori pronunciavano i discorsi. Gli italiani li ascoltavano, tenendo i fucili alla posizione “presentat-arm!”. Poi una salva lontana navale d’addio si e` riunita con le salve di fucili al campo Kulikovo. Fossa comune si trasformò in una piramide di fiori. Dopo una tale funerale non si poteva parlare, naturalmente, dei bombardamenti o rivolte. I marinai dei navi straniere non lo avrebbero permesso. Erano grati per l'onore, che i bolscevichi hanno demostrato ai loro compagni caduti, e sono stati toccati dalla cordiale accoglienza. Vecchio ammiraglio, che assomigliava, come dicevano, Giuseppe Verdi, si ha reso conto che per ora il gioco è finito. Diede ordine alla squadra navale di tornare a Costantinopoli. E la flotta scomparve nel buio serale del Mar Nero, lasciando in secco gli ufficiali di Denikin...”
Uno studio dettagliato di questi eventi dimostra che K.G. Paustovskij ha creato un quadro vivido della vita di Odessa pro tempore, ma ha fatto un sacco di errori e ha perso alcuni punti importanti. Alcuni di essi possono essere spiegati con la perdita di una serie dei fatti a causa di un grande stacco temporale (la storia è stata scritta nel 1958), ma alcuni - sono fondamentali e devono essere corretti nel nome della verità storica. Prima di tutto, l’autore ha alterato forte e, a quanto pare, intenzionalmente i fatti, creando, in sostanza, una propagandistica sovietica.
In secondo luogo, l’autore ha dichiarato che la miniera dei bolscevichi ha ucciso una nave nemica da ricognizione, anche se il cacciatorpediniere “Carlo Alberto Racchia” della Flotta di Marina Militare Reale Italiana scortava i trasporti con le persone internate (ex detenuti) che tornavano a casa, proteggendoli da eventuali attacchi delle forze di A. I.Denikin. In terzo luogo, K.G. Paustovskij ha esagerato le dimensioni dei provvedimenti funebri e l'interesse dei cittadini di Odessa nei loro confronti, moltiplicando il numero dei partecipanti per 10, nonostante il fatto che tra loro erano presenti numerosi ospiti e marinai stranieri, altresi` 4.000 rimpatriati arrivati. In quarto luogo, “la presenza degli italiani armati e del comandante della squadra navale” per le strade di citta` durante il funerale, che descrive il scrittore, nonche` la propria squadra navale dei alleati vicino Odessa è un effetto dell'immaginazione di autore.
Infine, il scrittore nasconde le scene sgradevoli dell’incontro dei prigionieri con le autorita` della “Patria dei bolscevichi”. Ci sono anche tanti altri momenti, chi non sono stati confermati, in particolare - il salvataggio dei italiani affogati dai pescatori locali.
Questo è ciò che è stato riportato su questi eventi sul giornale di Odessa “Marinaio” dal 26 luglio 1920: “I
l giorno 22 di luglio, 3853 soldati russi, internati in Italia, sono tornati alla Russia Rossa, sui trasporti di Trieste Lloyd [compagnia di navigazione]. Verso 6 di sera, tre navi sono arrivati al Molo di Platone – “Pietro Calvi”, “Talia” e “Melpomene”. Al momento d’arrivo delle navi nel porto, tranne il governo, si è riunito quasi tutto il proletariato organizzato di Odessa, che ha salutato i rimpatriati. Insieme con i prigionieri e`arrivata anche la delegazione commerciale italiana. Le navi con prigionieri sono stati accompagnati da un cacciatorpediniere italiano “Racchia”, che è stato colpito da una mina proprio vicino Odessa ed è stato ucciso. 5 persone dell'equipaggio sono stati uccisi e 5 persone - ferite.” Quindi è chiaro che il cacciatorpediniere italiano "Carlo Alberto Racchia" non rappresentava nessuna minaccia per il potere sovietico e non era impegnato in ricognizione al largo della costa di Odessa. Al contrario, avendo deciso di andare per primo, il cacciatorpediniere ha realizzato un atto intrinsecamente eroico, difendendo la sicurezza di oltre 3.000 degli ex prigionieri di guerra.
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Così, gli imperi Austro-ungarico, Russo, Germanico e Osmanico, sfaciati a seguito degli eventi della Prima Guerra Mondiale, hanno seppelito sotto le loro rovine i milioni delle vite ed hanno cambiato i destini delle decine di milioni di persone. In sede di guerra nell’Esercito Austro-Ungarico si è risultato il numero significativo dei prigionieri di guerra, chi, alla base del trattato di Versailles, sono diventati i prigionieri dell'Esercito Italiano. Ecco come discrive sto fatto un partecipante diretto dei sudetti eventi, l'ammiraglio italiano Luciano Biggi, chi faceva il servizio militare sul cacciatorpediniere "Racchia" nel 1920 al grado di tenente: “Durante l'attacco all'Austria-Ungheria, le truppe italiane hanno catturato molti cittadini russi, fatti prigionieri dagli austriaci in Galizia e utilizzati come operai nelle retrovie del fronte italiano. Questi prigionieri di guerra sono stati raccolti sull'isola dell'Asinara, e li` rimase per due anni, siccome il governo italiano non sapeva a chi gli deve dare: ai rossi o ai bianchi” (cioe` al nuovo governo sovietico o alle formazioni di Denikin, chi sono rimasti fedeli al Imperatore). Così, Luciano Biggi si riferisce ai 6 migliaia dei cittadini russi - ex prigionieri dell'Impero Austro-Ungarico, il destino di quali sta studiando un storico M.G. Talalaj.

La targa in ghisa con lo stemma Imperiale Austro-Ungarico, che si trovava sui pali di frontiera in Galizia
Dopo il mantenimento in Tirolo, sono venuti a trovarsi in campo della isola Asinara vicino la Sardegna, dove hanno trascorso più di due anni. Nel giorno 15 di Ottobre 1919 il primo gruppo di circa 1500 persone e` stato inviato al A.I. Denikin, e il loro destino non è ancora stato studiato. Nel nostro caso, stiamo parlando del secondo gruppo (principale) di 4000 persone che hanno lasciato Asinara verso 11 Luglio 1920. Tra di loro c'erano russi, ucraini, ebrei, lettoni e molti altri. Ora sappiamo che tutti sono arrivati sani e salvi in Odessa al 22 luglio, grazie a convoglio italiano.
L’imbarco dei prigionieri di guerra sulle navi di trasporto italiani per tornare a casa
Le difficoltà nel prendere la decisione su questa materia sono stati associati con il fatto che il primo gruppo di 2000 soldati (Corpo di Spedizione), tornati nel 1919 in Russia Bianca dalla Francia, era così infettato dal bolscevismo, che d’ora in poi il Comandante in capo delle forze armate della Russia meridionale, il tenente generale A.I. Denikin ha rifiutato di prendere il resto. Ma il Partito Socialista d'Italia, che stava guadagnando una maggiore autorità al momento, ha convinto il governo di inviare i prigionieri a Odessa, caricandoli al bordo di tre navi di trasporto (“Calvi”, “Melpomena” e “Talia”). Tanto per assicurare al meglio il passaggio del convoglio sul Mar Nero e per proteggerlo contro un possibile desiderio di inondarlo dalla parte delle forze di Denikin, le truppe di qui continuavano la guerra contro i bolscevichi al Sud senza grande successo, il comando della flotta italiana ha deciso, che nel Bosforo il convoglio sara` riunito dal cacciatorpediniere “Racchia”, capitano di quale - Italo Moreno - è stato incaricato di scortare le navi fino a 10 miglia marine prima di Odessa, e poi lasciarle, pur mantenendo il collegamento via radio. Tuttavia, 19 miglia marine prima di Odessa, la “Racchia” si imbatte con una mina nella parte centrale del corpo e affonde in 40 minuti ad una profondità di 11 m. In totale sono morti 10 persone.
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Ora parliamo più della nave.
“Carlo Alberto Racchia” viene assegnato alla sottoclasse delle navi-leader di siluri e artiglieria per cacciatorpredinieri tipo “Carlo Mirabello” della Regia Marina Italiana. E` stato costruito nel 1914-1916 nel cantiere navale Ansaldo di Sestrii Ponente. Prende il nome dal leggendario vice ammiraglio e politico italiano, Senatore del Regno d'Italia e Ministro della marina K.A.Racchia (1833-1896).
Vice Ammiraglio K.A.Racchia (1833-1896).
Il cacciatorpediniere ha avuto i seguenti parametri: dislocamento standard - 1819 tonnellate; totale - 2.040 m; lunghezza 101,1 / 103.75 m; larghezza - 9.74 m; immersione - 3,6 m; potenza - 35000 cavalli;. 4 caldaie a vapore e 2 gruppi di turbine con 2 viti; velocità del corso - 34 nodi; distanza di navigazione - 2820 miglia marine; equipaggio - 169 persone. Armamento: cannoni di 102 mm (Schneider-Armstrong) - 8; cannoni antiaerei di 76 mm (Armstrong) - 2; mitragliatrici di 6.5 mm – 2 pz; lanciasiluri a due canne di 450 mm - 2; miniere - 100 pz.
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Scheda grafica del cacciatorpediniere
Proprio questa nave sotto il comando del capitano Italo Moreno e` stata destinata a scortare il convoglio di prigionieri di guerra alle coste di Odessa. Più tardi, nel lavoro di P.A. Varnek “Azioni della flotta nella zona nord-ovest del Mar Nero nel 1920”, pubblicato all'estero, ci comunicano i fatti chiave di quello che è successo con il cacciatorpediniere italiano: “Nel giorno 19 luglio, al sud della Grande Fontana, i pescherecci della Armata Rossa hanno messo il sbarramento di 192 mine, modello di 1912. Il giorno successivo, il cacciatorpediniere italiano "K.A.Racchia», che scortava tre trasporti di prigionieri di guerra, si è esploso sulla mina e, spezzato, e` affondato ... In totale, prima della fine della Guerra Civile i rossi hanno messo alla zona di Odessa e Ochakov 1300 sbarramenti di mine.”
Questa informazione ha trovato la sua conferma nelle memorie di un ufficiale di marina N.N. Kryzhanovskij: “Nelle miniere di Odessa nel 1920”. Nel 1920 detto ufficiale amministrava in Odessa il Servizio Idrografico, ed è stato quasi subito chiamato al luogo di naufraggio della “Racchia”. Arrivando al posto di frontiera Sanzhiyskij (frontiera vicino il Faro in carica), l'ufficiale ha visto la seguente scena: nel mare, nei 30 – 40 gomeni (5,5-7,8 km) dalla costa, nel mezzo del campo minato erano ancorati i tre trasporti, in linea circa di nord-ovest - sud-est (“Talia” e “Melpomene” vicini l'uno all'altro, “Pietro Calvi” – piu` a Nord, vicino alla riva).
Dovevano essere messi fuori dalla zona di pericolo, e poi, con l'aiuto di piloti, dovevano essere accompagniati nel porto di Odessa. L'ufficiale ha immediatamente offerto ai “commissari”, chi sono arrivati ai navi, di rimuovere passeggeri a riva con le scialuppe di salvataggio, e poi – di dragare i passaggi per i navi. Tuttavia, quest'ultimi hanno insistito che i navi devono essere evacuati solo con la gente. Mentre la notte si avvicinava ed i piloti con una mappa di campi minati non sono arrivati da Odessa, l'operazione è stata rinviata per il giorno successivo. I bolscevichi si sono limitati di pronunciare i discorsi di saluto e sono tornati a riva.
Così, le migliaia di persone sono rimaste lasciate per la notte nel bel mezzo di un campo minato, nonostante il fatto che con il cambiamento del vento i navi potrebbero cominciare a roteare intorno le ancore ed esplodere alle mine dragate così. Il giorno dopo, da Odessa, su una nave piccola sono arrivati piloti con la mappa e si è scoperto che il capitano di questa nave nave ha partecipato nella collocazione di mine nella zona presente. Egli ha riferito che le mine sono impostate ad una profondità di 6 piedi (1,8 m), e l’immersione della sua nave è di 8 piedi (2,4 m) e quindi si rifiuta di partecipare nella operazione.
In questa situazione, N. Kryzhanovskij decide di assumere su di se il comando, e, rischiando di esplodersi, draga i corridoi con il corpo della nave ed evacua i trasporti italiani con ex prigionieri di guerra dai sbarramenti di mine. Nell’ultima di navi si trovava l'equipaggio del cacciatorpediniere perduto, che è di circa un centinaio di marinai con il capitano Italo Moreno. Secondo lui, un giorno o due prima, a Costantinopoli, l’Ammiraglio italiano gli ha ordinato di accompagnare tre trasporti: “... Sulla strada per Odessa, nel Grande Fontana, si trova un gavitello (speciale segno-gallegiante), che indica la fine di una zona di sbarramento.
Rimanete lì fino all'arrivo dei piloti. I piloti porteranno i trasporti ad Odessa, e voi dovete ritornare immediatamente. In nessun caso non entrate in Odessa!” - avvisato l'ammiraglio. Avvicinando al punto in cui doveva essere il gavitello, la squadra si e` fermata. Ma nel’acqua non c’era nessun segno. Allora, il capitano Moreno, mettendo i trasporti proprio alla sua scia, ha fatto rotta per il capo Grande Fontana ed e` andato alla bassa velocità. Passando la frontiera Sanzhiyskij, il cacciatorpediniere "Racchia" ha colpito una mina, si e` rotto ed ha affondito. Il risultato dell'esplosione – la gente uccisa e ferita. Essendo di finecorsa, il trasporto “Pietro Calvi” e` uscito fuori della fila, si è avviccinato al luogo dell'esplosione della “Racchia”, si ha ancorato, ha gettato le scialuppe al mare ed ha salvato le persone chi nuotavano in acqua.
La mappa dei campi minati al largo della costa di Odessa
Del suo, N. Kryzhanovskij ha spiegato che “l’istruzioni, dati al comandante della “Racchia” dal comando italiano, sono stati disusati, siccome erano datati di 1919, in quale periodo Odessa si trovava nelle mani dell'Esercito Volontario. Dopo l’occupazione di Odessa, bolscevichi hanno messo i nuovi sbarramenti piu` al sud del capo Grande Fontana”.
Torretta di comando del cacciatoprediniere "Carlo Alberto Racchia"
N.Kryzhanovskij ricordava, che davanti ai trasporti italiani, ormeggiati nel porto di Odessa, si sono accumulati i civili e l'orchestra militare, chiamando i prigionieri, appena tornati alla loro Patria e fino a poco serviti nell'Esercito Imperiale Russo, di registrarsi immediatamente nell'Armata Rossa. Piano piano i soldati sono stati spostati dalle navi al muro del porto e ordinati in colonna per andare in sfilata per la città. Nel frattempo, i rappresentanti delle autorità hanno iniziato una verifica di oggetti personali, espropriando nel processo l’effetti personali e la valuta.
La maggior parte dei soldati risparmiava i soldi, ricevuti per la partecipazione nei lavori in Sardegna durante il periodo di internamento, e comprava dopo i regalli per le moglie e bambini. Per “valuta” prendevano i soldi, accumulati dai stipendi. Alcuni dei soldati hanno cominciato di buttare i soldi dalle finestre fuori bordo, cosi` viccino le navi l'acqua era coperta con le bancnote. Il compito principale dei commissari era di non dare tregua ai soldati. Sono stati sempre impegnati per andare da qualche parte, escriversi, partecipare nelle comizie e... mentre sono stati derubati. Dopo una notte insonne, passata in attesa nervosa dell'esplosione, in piedi sul ponte di coperta, la gente era molto nervosa, la loro resistenza è stata molto abbassata.
Qui, su questa fase della storia e` stata molto chiaramente presentata tutta la tragedia della situazione di quel momento. Migliaia di persone sono cadute nel vortice della prima guerra mondiale. Tanti soldati hanno cominciato di protestare contro la confisca di denaro e le loro robe, e non volevano registrarsi immediatamente nella Armata Rossa, loro volevano tornare a casa, dove non sono stati fin dall'inizio della guerra. Ma nessuno di loro non ha ricevuto il permesso.
Poco tempo dopo sono stati iniziati gli arresti, per quali hanno organizzato un “reparto specale” nei palazzi della piazza di Ekaterina, dove tenevano i soldati arrestati... La gente e` arrivata con le loro robe, soldi in valuta estera, i vestiti, e pensavano di tornare a casa più presto possibile. Pero` il programma del loro ritorno era diversa – si pensava di incontrare la gente con pompa magna, farla passare le strade di citta` con la parata, mentre togliere la loro “valuta” e belli vestiti europei, ed invece di lascirle tornare a casa – sforzare di entrare nell'Armata Rossa come “volontari”. Quelli chi rifiutassero di partecipare, devono essere fucilati o esiliati...
I veterani di Odessa ricordavano, che quasi fino all'inverno nella piazza di Ekaterina si poteva sentire i voci ed anche le canzoni dei soldati arrestati. Erano i voci dei soldati piu` testardi, che sono tornati alla loro cara patria, e che non volevano più di essere soldati del nuovo governo.
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Ora torniamo al funerale dei marinai italiani ...
Alla vigilia del funerale, il capo della guarnigione di Odessa Fialkovskij ha firmato l'ordine (numero 81 dal 23 luglio): “Gli ufficiali e l'equipaggio delle nave italiane arrivati al 22 di luglio in Odessa, sono permessi di passeggiare per la città solo nella forma nazionale, senza armi, e con permesso del reparto speciale della Costa. Tutti i comandanti e soldati della Armata Rossa devono comportarsi educatamente verso i compagni italiani sia marinai che ufficiali.” Il comitato per l'organizzazione della cerimonia funebre, durante la sua riunione, ha ordinato al capo del servizio idrografico N.Kryzhanovskij di notificare il capitano italiano, che i marinai ucisi saranno sepolti, come le vittime della rivoluzione. Successivamente, dopo aver conosciuto questa decisione, il capitano I.Moreno e` rimasto stupito e ha detto alle autorità che si considera tenuto di dare il rapporto alle madri dei morti solo nel fatto che sono stati sepolti seguendo il rito cattolico. Tuttavia, l’opportunità politica ha predominato, e dopo due giorni dell'arrivo e` stato organizzato “il funerale delle vittime di rivoluzione”. E` stata organizzata una grande parata. I marinai ed ufficiali italiani hanno anche partecipato in questa sfilata. Uccisi o morti per le ferite sono stati sepolti nella piazza, dove sono stati sepolti le “vittime” della rivoluzione. Il podio e` stato costruito in una notte, e bolscevichi e il proletariato, in giro, parlavano delle conquiste della rivoluzione, delle sue vittime, e della rivoluzione mondiale imminente. Cantavano “Internazionale”.
Ed ecco come lo stesso evento e` stato descritto nel libro di V.P. Monakhova e B.A. Stepanenko: "Tutta Odessa ha sopravissuto questo evento. Insieme al comando italiano e` stata presa la decisione di sepolire in campo Kulikovo i marinai italiani con tutti gli onori. Il funerale ha avuto luogo il 24 luglio verso 17:00. Gli operatori portuali andavano dal Molo di Platone con orchestra ed equipaggio di tutti tre trasporti italiani, con ghirlande e bandiere rosse. Sono arrivati fino a vicolo di Velihovskij, dove per questo momento sono stati riuniti le truppe, i rappresentanti delle organizzazioni dei operai, del governo sovietico e dei partiti politici.
Due bare di legno con i corpi dei marinai Re Vincenzo e Domenico Pelleccilo, coperti con la bandiera italiana, sono state collocate nella cappella. Tutta la piazza di Sofia, dal angolo di Commercio fino alla via Preobrajenskaia, era occupata con prigionieri di guerra, arrivati il giorno prima. Nel corteo funebre, dietro le bare camminavano i marinai italiani, rappresentanti dello Stato Maggiore dell’Esercito e del Comitato della Rivoluzione. Il funerale si è tenuto nella Piazza della Rivoluzione, dove c'erano presenti più di 10 mila persone. Si è tenuto l’incontro lutto, in cui i rappresentanti delle varie organizzazioni, tra cui il presidente del Comitato rivoluzionario, il compagno Shumskij, hanno intervenuto con i loro discorsi”.
Il governo sovietico ed i socialisti italiani hanno fatto di tutto per trasformare non solo il ritorno dei prigionieri a casa, ma anche il funerale dei marinai nella festa straordinaria della “solidarieta` internazionale dei lavoratori.” Così, il trasporto “Pietro Calvi” è entrato nel porto di Odessa sotto le bandiere rosse. Tuttavia, lo scopo principale del “spettacolo” era quello di rompere il blocco economico dell'Ucraina sovietica. Il problema e` stato risolto parzialmente – al 9 di Agosto 1920, “Pietro Calvi” è andato in Italia con un carico di grano (280 mila pud – vecchia misura russa equivalente a 16,38 kg) “per il popolo italiano”, anche se molto probabilmente si trattava di una parziale compensazione per il cacciatorpediniere brillato.
Per il giorno di oggi, il dottore in scienze storiche I.V. Sapozhnikov no ha le dirette prove per spiegare la differenza tra il numero dei morti (10 o 9 persone) ed il numero di sepolti (6 o 5 persone) membri dell'equipaggio. Molto probabilmente, uno ferito è morto per le ferite sulla spiaggia, ed i corpi di 4 marinai morti non sono riusciti di portare via dalla nave che affondava. In questo caso, i resti della nave devono essere considerati come fossa comune sott'acqua.
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Medaglia commemorativa. Il cacciatorpediniere “K.A.Racchia”
Il risultato storico di questi eventi è stato il fatto che l'Italia aveva compiuto il suo dovere, tornando alla loro Patria i prigionieri di guerra, chi hanno servito durante la prima guerra mondiale nelle file dell'Esercito Imperiale Russo, pagando per questo con la vita dei suoi marinai e con la perdita di cacciatorpediniere ...
Dopo un studio dettagliato dei archivi, chi descrivono il destino dei marinai italiani sepolti in Odessa, potrebbe essere conveniente di installare un segno memoriale commemorativo nel campo Kulikovo, dopo la messa commemorativa nel rito cattolico, come chiedeva una volta il capitano della “Racchia” Italo Moreno. Potrebbe essere anche conveniente di conferire uno status appropriato alle spoglie mortali del cacciatorpediniere “K.A.Racchia”, per evitare l’immersioni incontrollati di tutta la gente che voglia in questo posto, ed anche di installare un obelisco memoriale nel posto di naufragio del cacciatorpediniere.
Dmitrij Voloscenkov,
Usando i materiali della edizione “Archivio. Storia. Modernità”, Edizione 2, V.V.Levchuk, I.V.Sapozhnikov